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Omicidio Cecchettin, Turetta: "Giusto pagare, Giulia non ha più futuro"

Lo studente, faccia a faccia con il papà di Giulia, non nomina mai la sua vittima: "Ho ucciso Giulia perché non voleva tornare con me. Ho pensato di rapirla, ucciderla, poi suicidarmi"

Filippo Turetta in aula - (Fotogramma)
Filippo Turetta in aula - (Fotogramma)
25 ottobre 2024 | 09.38
LETTURA: 8 minuti

Ho ucciso Giulia perché non voleva tornare con me, provato risentimento, rabbia, non lo so…". Sono le parole con cui Filippo Turetta spiega oggi 25 ottobre, nell’aula del processo in cui è imputato per omicidio, il perché ha ucciso con 75 coltellate l’ex fidanzata Giulia Cecchettin. “È giusto espiare la colpa e provare a pagare per quello che ho fatto, è l’unico pensiero che ho al momento. Mi sento anche in colpa nel pensare al futuro visto che lei non può più”, afferma.

In aula il padre di Giulia

"Voglio raccontare tutto", ha esordito lo studente ventiduenne che, dopo la lunga e dettagliata confessione resa subito dopo l'arresto, per la prima volta ha mostrato il suo volto ai giornalisti ma, soprattutto, si è trovato a poca distanza da Gino Cecchettin, padre della vittima, che dall'11 novembre scorso cerca un perché alla morte della figlia.

Oggi, a quasi un anno dall'omicidio, siedono a pochi passi di distanza, in un'aula spoglia e senza gabbie. Davanti alla corte, l'uomo che in due anni ha perso moglie e figlia ha lo sguardo spesso puntato su chi siede al banco degli imputati, mentre Turetta evita lo sguardo verso i banchi e il pubblico, e parla per oltre un'ora senza mai pronunciare il nome di Giulia.

"Voglio raccontare tutto, pensavo di ucciderla da giorni"

Risposte incerte, sguardo basso, Turetta, nel ricostruire quanto accaduto prima e dopo l'11 novembre del 2023 parla con frasi brevi, incespica, balbetta quasi, sembra confuso. "Voglio raccontare tutto quello che è successo" dice davanti alla corte d'Assise di Venezia spiegando che le sue diverse memorie scritte nascono dal "mettere per iscritto le cose che mi venivano in mente, alcune cose non me la sentivo di descriverle sul momento".

Alla domanda del pm di Venezia Andrea Petroni che gli chiede se, compilando la lista del 7 novembre (con gli strumenti per legarla e i coltelli, ndr), avesse già in mente il delitto, lo studente risponde che aveva pensato già giorni prima di togliere la vita a Giulia. "Ho ipotizzato di rapirla in macchina, di allontanarci insieme verso una località isolata così sarebbe stato possibile stare più tempo insieme e sarebbe stato più difficile trovarci, dopo inevitabilmente saremmo stati trovati. Poi aggredirla e togliere la vita a lei e poi a me…alla fine è per questo che ho cercato quei luoghi” isolati, sostiene Filippo.

"Quella sera scrivendo quella lista ho ipotizzato questo piano, questa cosa, di stare un po' insieme e di farle del male" dice dal banco degli imputati. "Ero arrabbiato, avevo tanti pensieri, provavo un risentimento che avessimo ancora litigato, che fosse un bruttissimo periodo, che io volessi tornare insieme e così…non lo so…in un certo senso mi faceva piacere scrivere questa lista per sfogarmi, ipotizzare questa lista che mi tranquillizzava, pensare che le cose potessero cambiare" aggiunge l'imputato. "Era come se ancora non la dovessi definire, ma l'avevo buttata giù".

Le lacrime, poche, gli solcano il volto quando, per l’ennesima volta, gli chiedono perché voleva rapire Giulia, se davvero abbia mai creduto all’idea di non ucciderla. “Pensavo di allungare un po’ il tempo insieme…poi di toglierle la vita” risponde durante il suo interrogatorio nell’aula della corte d’Assise di Venezia. “Ho fatto molto pensieri, c’era sempre l’insicurezza…”.

"Provavo rabbia, volevo tornare con lei"

Parlando del rapporto con l’ex fidanzata, Turetta sottolinea che "volevo tornare insieme a lei e di questo soffrivo molto e provavo risentimento, molto, verso di lei". "Avevo rabbia perché sostanzialmente soffrivo di questa cosa, volevo tornare insieme e lei non voleva...non so...mi faceva rabbia che non volesse", ha continuato interrompendosi più volte nel corso delle sue dichiarazioni.

L’11 novembre del 2023 di fronte al rifiuto di darle un’altra possibilità, si rivolge all’ex fidanzata “in un tono alterato e lei giustamente ha reagito malissimo”. “In quel momento ho sentito di aver perso per sempre la possibilità di tornare insieme. Non avere più un rapporto, ho percepito questo: di perdere la possibilità di un rapporto”, afferma.

Non era la prima volta che il 22enne usava modi aggressivi contro la ragazza, come una sera davanti a una gelateria di Padova. “E’ successo che eravamo in macchina che stavamo discutendo di questa lista di motivi per cui mi aveva lasciato, parlando di uno di questi motivi ero nervosissimo, le ho fatto così sulla coscia…non volevo essere violento, non sono riuscito a trattenermi” conclude l’imputato.

"Coltelli in auto? Non per suicidarmi. Poi l'ho colpita"

"I coltelli li ho messi in auto in quella settimana, deve essere stato uno di quei giorni: mercoledì, giovedì o venerdì…" comunque prima dell'11 novembre, giorno del delitto, continua ancora Turetta. "I coltelli non li ho messi per suicidarmi, come ho detto nel primo interrogatorio, ma sempre al fine di eventualmente aggredirla", aggiunge l'imputato durante il suo difficile interrogatorio.

"Eventualmente aggredirla" lo scrive nella memoria che il pm legge in aula, ma Turetta non pronuncia le due parole "perché è difficile dirle", aggiunge. "Forse ne ho presi due per avere più sicurezza…", svela. "Quel giorno ho comprato dell'altro scotch, non lo so perché me ne serviva un terzo", dopo averlo già comprato online, "forse perché mi sentivo più sicuro nel farlo, forse perché non sapevo se gli altri due andavano bene".

Turetta ammette di aver stilato la lunga lista di oggetti da comprare, acquisti fatti dal 7 all'11 novembre del 2023, "per un eventuale rapimento", elementi, invece, su cui la procura insiste per dimostrare la premeditazione dell'omicidio di Giulia Cecchettin.

I dettagli dell'aggressione

In aula vengono mostrate le foto delle macchie di sangue lasciate sull'asfalto del parcheggio di Vigonovo, Padova, a 150 metri da casa Cecchettin dove avviene la prima aggressione. “Ero arrabbiatissimo, non volevo andasse via. Ho preso il coltello dalla macchina e l’ho rincorsa, forse l’ho preso per minacciarla…non lo so. O forse volevo colpirla per la rabbia”.

Quando nel parcheggio vicino casa, la ventiduenne è uscita dall’auto “l’ho raggiunta, devo averla spinta o tirata, lei è caduta per terra la devo aver colpita non so come…io li ricordo solo che ho il coltello poi in mano, sì devo averla colpita. Ha sbattuto la testa sul pavimento poi l’ho spinta in macchina”. Nel tragitto in auto, da Vigonovo a Fossó, “Penso di aver preso il suo cellulare e di averlo spento e allontanato da lei per impedirle che chiamasse aiuto”, racconta nel suo interrogatorio. Cellulare che butta poco dopo il delitto, gettandolo “in una specie di fossato in una stradina secondaria, insieme al coltello” aggiunge.

Nei primi minuti del percorso verso Fossó “penso fosse stordita, non so. Non volevo uscisse dalla macchina e l’ho accoltellata, uno sulla coscia, forse più di una volta. Lei si muoveva e volevo farla stare ferma. L'ho colpita ma non ricordo come, colpivo a caso”.

Le coltellate sono in tutte 75, ma è un particolare che l’imputato non ricorda. “Deve essere successo che stavo andando molto piano, ho provato a staccare un pezzo di scotch per metterglielo sulla bocca in modo che non dicesse niente, nel mentre lei è uscita” ed è sull’asfalto di Fossó che arrivano i colpi mortali.

È nell'area industriale di Fossó, Venezia, che Giulia Cecchettin, che tenta la fuga, viene accoltellata a morte. "Non lo so in quel momento lì, non lo so…lei si opponeva, non sarei riuscito mai a riportarla dentro in macchina ". Un racconto che cozza con l'idea di rapimento che l'imputato racconta e che, soprattutto, non spiega perché il ventiduenne sia sceso dall'auto con un nuovo coltello. La fuga con il corpo della laureanda in Ingegneria biomedica procede fino al lago di Barcis (uno dei luoghi indicati nella 'lista di preparazione', ndr), poi il viaggio di Turetta continua in solitaria tra le montagne - dove fallisce il suo proposito di suicidio - fino in Germania, dove si arrende a una settimana dal delitto.

“Forse non ha senso che io nascondessi il suo corpo” coprendola con i sacchi neri, “ma mi rendevo conto che aveva delle ferite, che era in cattive condizioni, condizioni terribili, volevo che non si vedesse perché le ferite…Sapere solo che lei non c’era più senza vedere come perché ovviamente è un’immagine brutta”.

"Vorrei sparire, mi dispiace tantissimo"

"In certi momenti vorrei chiedere scusa ma in credo che sia ridicolo vista l’entità e l’ingiustizia che ho commesso. Le scuse sono inaccettabili e chiedere scusa sarebbe ridicolo e potrebbe creare ulteriore dolore per chi già prova dolore e sofferenza per quello che è successo. Vorrei evitarle e sparire…mi dispiace tantissimo”, ha detto poi il giovane.

Vorrei non aver fatto a lei questa cosa terribile perché lei era una persona meravigliosa, aveva ancora affetto per me, mi ha trattato meglio che pensavo, ed essere stato proprio così io…”, ha aggiunto Turetta al termine del suo lungo interrogatorio. E dopo un anno di carcere a Verona, oggi l’imputato giudica “male” il se stesso di un anno fa per “questa rabbia veramente ingiusta ed eccessiva, per averla fatta prevalere su tutto il resto”.

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