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La ricerca

"Nanotubi di carbonio per monitorare il cervello"

13 luglio 2018 | 19.38
LETTURA: 4 minuti

Creare dispositivi innovativi da impiantare nel cervello per registrare i segnali nervosi. Sensori che potranno dare un notevole contributo per la diagnosi, il controllo e il monitoraggio di patologie neurologiche, e soprattutto nelle applicazioni di brain computer interface (Bci), e permetteranno di collegare direttamente il cervello con apparecchiature elettroniche, ad esempio nel caso di persone con problemi motori o cognitivi in seguito a un ictus. Si può sintetizzare così la ricerca, tutta italiana, che vede la collaborazione tra l’Irccs Neuromed di Pozzilli (Is), il Centro Ricerche Enea Casaccia, l’Università Tor Vergata e il Centro Enrico Fermi di Roma.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica The European Physical Journal Plus, ha utilizzato, su modelli animali, una griglia di sensori, costituita da un polimero elastico sul quale vengono depositate piste di nanotubi di carbonio, sulle quali sono stati ottenuti sensori per registrare il segnale elettrico cerebrale. Costituiti da tubi contenenti esagoni di carbonio, negli ultimi anni queste nanoparticelle hanno dimostrato di possedere interessanti proprietà elettriche e meccaniche, oltre ad essere altamente biocompatibili.

"Questa griglia di elettrodi - spiega Luigi Pavone dell’Unità di Bioingegneria del Neuromed che ha promosso lo studio, insieme a Slavianka Moyanova dell’ Unità di Neurofarmacologia e in collaborazione con Anderson Gaglione dell’Unità di Neurobiologia dei disturbi del movimento - presenta diversi vantaggi rispetto alle griglie convenzionali già in uso, che generalmente sono costituite da silicone ed elettrodi in metallo. Innanzitutto gli elettrodi che abbiamo sviluppato mantengono nel corso del tempo la loro funzionalità elettrica, contrariamente a quelli comunemente utilizzati, che quando vengono impiegati per registrazioni in cronico vanno incontro con il tempo a ossidazione, perdendo funzionalità. Inoltre le griglie di elettrodi attualmente in uso, ad esempio nel monitoraggio dell’epilessia, non sono sufficientemente flessibili ed elastiche, e questo costituisce una limitazione importante perché non consente agli elettrodi di adattarsi alla conformazione della superficie del cervello, rendendo impossibile registrare in particolari regioni della corteccia cerebrale".

La sperimentazione in questo campo procederà ora per passi graduali. "Dopo aver dimostrato - aggiunge Pavone - che la funzionalità elettrica si mantiene inalterata nel tempo, in questo periodo stiamo testando, in collaborazione con altri gruppi di ricerca Neuromed, la biocompatibilità del dispositivo con il tessuto cerebrale. Inoltre stiamo verificando la capacità delle cellule neuronali di proliferare e di attaccarsi ai nanotubi, nonché la capacità di questi elettrodi di registrare il segnale in condizioni di utilizzo continuo".

"L’obiettivo - spiega - è arrivare ad avere sensori che possano rimanere impiantati per lungo tempo nel cervello, senza alcun effetto collaterale per il paziente. In questo modo potremo ottenere registrazioni più dettagliate dell’attività cerebrale. Ma soprattutto questi elettrodi potranno rivelarsi cruciali nello sviluppo delle interfacce uomo-macchina, grazie alle quali il sistema nervoso 'dialogherà' direttamente con il computer, con protesi robotiche o altre apparecchiature. Questo darà la possibilità, ai pazienti che hanno subito danni neurologici in seguito ad eventi traumatici o patologie del sistema nervoso, di poter ripristinare, seppure in maniera artificiale, funzioni che avevano irrimediabilmente perso".

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