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Donald Trump, in ‘The Apprentice’ la storia del Tycoon che torna alla Casa Bianca

Dalla trama del film alle polemiche fino alle curiosità su Sebastian Stan nei panni del 'tycoon'

Donald Trump, in ‘The Apprentice’ la storia del Tycoon che torna alla Casa Bianca
06 novembre 2024 | 17.57
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Il popolo americano ha deciso il suo 47esimo presidente: è Donald Trump, al suo secondo mandato. A raccontare chi era prima del suo arrivo alla Casa Bianca è il film ‘The Apprentice – Alle origini di Trump’, uscito il 17 ottobre nei cinema italiani con la regia di Ali Abbasi. Molto prima di essere un miliardario, la star di un reality televisivo – che dà il titolo al film - o il 45esimo, e da oggi il 47esimo, presidente degli Stati Uniti d’America, Donald J. Trump era un giovane determinato ad avere un grande successo nel mercato immobiliare di New York. Erano gli Anni 70 e il giovane Donald credeva che la città, martoriata da crimini violenti, fosse destinata a tornare a brillare e che lui fosse l’uomo che ne avrebbe guidato la rinascita se solo avesse avuto gli appoggi giusti. Ma non quello del padre, Fred Trump, convinto che l’impresa del figlio fosse una follia. L’aspirante imprenditore ha trovato un potente alleato nell’avvocato e faccendiere Roy Cohn, qui interpretato dalla star di ‘Succession’ Jeremy Strong.

Affascinato dalle potenzialità che intravedeva in Donald, Roy ha insegnato al suo discepolo come accumulare ricchezza e potere tramite l’inganno, l'intimidazione e la manipolazione dei media. Il resto è storia. Quella di Abbasi, però, non è piaciuta al vero Trump, che ha cercato di ostacolare l’uscita del film perché "diffamatorio e politicamente disgustoso fatto uscire prima delle elezioni presidenziali del 2024 per cercare di ferire il più grande movimento politico nella storia del nostro Paese, ‘Make America Great Again", ha dichiarato il ‘tycoon’ nei mesi scorsi. "Il film è distante dagli aspetti politici. Ho voluto fare un film su Trump perché lo considero un'icona della cultura americana", ha spiegato il regista qualche settimana fa alla stampa internazionale. Sul caso si è espresso anche lo sceneggiatore Gabriel Sherman: "non volevamo fare polemica politica. Trump potrebbe esistere solo nel contesto di questo sistema molto americano dove il successo, il denaro e il potere contano più dell’integrità e della decenza”.

Infatti, 'The Apprentice' non è un biopic. "Non eravamo interessati a raccontare la sua vita dalla A alla Z. Siamo interessati a raccontare una storia molto specifica attraverso il suo rapporto con Roy e il rapporto di Roy con lui", sostiene il regista Abbasi. Questo rapporto è diventato molto interessante per lo sceneggiatore ed autore Gabriel Sherman nel periodo immediatamente successivo alle elezioni presidenziali del 2016 che, con sorpresa di molti, ha fatto arrivare con facilità Trump per la prima volta allo Studio Ovale.

Nella primavera del 2017, pochi mesi dopo l’insediamento di Trump, Sherman continuava le sue conversazioni con le fonti di lunga data, molte delle quali avevano fatto notare che, durante la sua campagna e nei primi giorni alla Casa Bianca, Trump aveva messo in atto le tattiche apprese da Cohn. "Roy gli aveva insegnato come usare la stampa e che fare sì che il proprio nome facesse notizia era un modo per avere più potere", dice Sherman. Ed è stato allora che a Sherman è venuta l’idea di un film basato sul loro rapporto. “Mi venne in mente un giorno che il modo in cui questo mentore, Roy Cohn, ha insegnato al giovane discepolo come parlare e come usare tutte le sue lezioni nell’arte oscura per ottenere il potere può diventare un film", ha affermato lo sceneggiatore alla presentazione del film, in programmazione in alcune sale cinematografiche.

Nei panni del neo-eletto presidente Usa c'è Sebastian Stan, che porta sullo schermo un'interpretazione memorabile. Ma come si diventa Donald Trump? "Tre mesi prima di iniziare le riprese ho ascoltato le registrazioni di Trump 24 ore su 24 in macchina oppure mentre mi lavavo i denti o facevo colazione. Era diventata un'abitudine, come respirare". L'attore non voleva solo catturare il suo modo di parlare ma anche il suo sguardo "alla Zoolander di Ben Stiller".(di Lucrezia Leombruni)

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