
Il punto di vista di Marco Follini per Adnkronos
"C’è qualcosa di eccessivo nel modo in cui si litiga sui destini del mondo dentro la maggioranza e dentro l’opposizione di casa nostra. Si dirà che è sempre stato un po’ così, che questa è la natura, e insieme l’abitudine, di tutti gli schieramenti politici che si sono via via formati nel nostro paese. E’ vero. Ma è ancor più vero che da qualche tempo la disputa avviene soprattutto in quei territori strategici, delicatissimi e decisivi -la geopolitica, appunto- che dovrebbero essere messi al riparo, per quanto possibile, dalla controversia casalinga.
Ora, chi scrive ha una certa esperienza della dialettica che si instaura nelle coalizioni e non se la sentirebbe certo di salire in cattedra come maestro di bon ton. Ma un conto è litigare sulle aliquote fiscali, le pensioni d’anzianità e le regole della par condicio (tutte missioni cui ho cercato a suo tempo di adempiere). E tutt’altro conto è pensarla diversamente su Trump, su Putin, sull’Europa e su cosa fare nel mondo. Tanto più in un mondo che è diventato così drammaticamente turbolento.
La cosa che colpisce di più è che sembra esserci ormai una diffusa rassegnazione verso questo andazzo. Meloni in cuor suo ha l’aria di essere furibonda per come Salvini, un giorno sì e l’altro pure, si discosta dai fondamentali della politica estera del governo. Ma se lo tiene per sé. E al capo opposto la gran parte della dirigenza del Pd non sembra affatto di un umore migliore nel dover fare i conti con i proclami “pacifisti” dello pseudo-alleato Conte, il quale sembra studiarle tutte, ma proprio tutte, per insinuare che dalle parti del Nazareno tiri un fortissimo vento “bellicista”.
Ma, anche qui, il brontolio non basta a sciogliere il nodo. Nessuno azzarda un chiarimento, nessuno chiede una 'verifica' (parola desueta che profuma ancora di troppo passato), nessuno si perita di andare a vedere il bluff del proprio vicino. Di tanto in tanto si produce qualche vertice, si lascia intendere che la situazione è stata messa sotto controllo, si offrono a prezzi di realizzo quelle surreali interviste nelle quali si proclama l’unità di intenti e perfino la fraterna amicizia di vicini con i quali si è appena smesso di litigare.
Ora, può darsi che il mio sia il tipico riflesso condizionato di un figlio (fin troppo) devoto della prima repubblica, abituato a pensare che la coesione geopolitica sia il primo e il più cruciale requisito di ogni schieramento che si rispetti. Tant’è che tutto il balletto delle alleanze del dopoguerra si svolse appunto a partire da questa premessa: e cioè che fosse d’obbligo pensarla allo stesso modo sul mondo per poter governare assieme in casa.
Ma anche senza indulgere a questa sottile nostalgia basterebbe guardare oltre le nostre frontiere, nell’attualità altrui, per rendersi conto che in tutti i paesi che contano questa disordinata dialettica che tiene banco nelle nostre contrade è un lusso che nessuno concede più a se stesso. E se anche capita che vi sia qualche differenza al riguardo tra gli alleati (è il caso della Germania) i patti di governo fanno sì che quelle differenze escano dall’agenda dei partiti non appena si formano le coalizioni che intrecciano i loro destini.
Tocca solo a noi, insomma, il 'privilegio' di vedere all’opera cartelli elettorali che si accapigliano sulla questione più rilevante dell’agenda globale. E che per giunta, dopo aver dato voce a pensieri così diversi tra loro, ci riservano il giorno dopo la consueta recita sulla loro reciproca, indefettibile amicizia e lealtà. Argomento col quale ci si prende gioco dell’elettorato -e pazienza. E ci si illude di potersi prendere gioco anche delle cancelliere internazionali. E qui però la pazienza comincia a scarseggiare". (di Marco Follini)