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Enrico Vanzina: "'Noblesse Oblige' è una commedia, immagino un film con De Sica e Salemme"

Lo sceneggiatore, scrittore e giornalista torna nelle librerie con il primo libro comico ma "il prossimo anno torno al cinema, magari con un giallo"

Enrico Vanzina - Agenzia Fotogramma
Enrico Vanzina - Agenzia Fotogramma
12 novembre 2024 | 11.01
LETTURA: 3 minuti

Oggi non si fa più la commedia, è sempre stata considerata un genere minore, in realtà è la forza di questo Paese” e per questo “torno nelle librerie con ‘Noblesse Oblige’: è come se uscisse un film di commedia al cinema. Spero che chi lo leggerà possa ritrovare quel piacere che avevamo ad andare nelle sale cinematografiche per vedere delle commedie italiane divertenti”. Così all’Adnkronos Enrico Vanzina al suo debutto con un libro comico (edito HarperCollins), in cui racconta le peripezie dello squattrinato principe Ascanio della Scaletta e del suo maggiordomo napoletano Gegé: i due cercano di ‘tirare a campare’ lanciandosi in una 'caccia al tesoro' attraverso l’Italia tra impresentabili cugine e ricchissime ma zotiche figlie di palazzinari conosciute a Cortina.

È un libro sull’amicizia ma anche su come stare al mondo e ci si salva solo con la nobiltà d’animo, ed oggi “ce n’è pochissima”, spiega l’autore, che ammette: “Mi piacerebbe che questa storia potesse arrivare in teatro o al cinema”, ma “escludo il formato seriale, ancora mi piace il cinema che dura 1 ora e 40 minuti perché condensa tutto meglio, al contrario delle serie che allungano sempre un po’ tutto”, dice Vanzina, che come protagonisti vorrebbe “Christian De Sica nei panni del principe e Vincenzo Salemme in quelli del maggiordomo”.

Vanzina attraverso questa improbabile, ma già iconica, coppia fa rivivere l’Italia degli Anni 80 “tra malinconia e tenerezza” con le sue buffe velleità e le sue dolci speranze, riportando alla mente del lettore la saga di Jeeves e i film di Totò, senza dimenticare le vacanze natalizie. “Non ho nostalgia degli Anni 80”, dice lo scrittore, sceneggiatore e giornalista, “mi sembrava un periodo molto divertente della società italiana in cui, tutti aspirano al divertimento, al piacere, al ritorno del benessere e dell'allegria e a dimenticare un periodo buio che ha lacerato il nostro Paese. Anche i protagonisti della storia lo sperano, però in realtà sono due disperati perché non c’hanno proprio una lira”, spiega.

Gli Anni 80 sono un periodo utopico che gli italiani rimpiangono”, ma per Vanzina “il presente va sempre bene perché è inevitabile”. Come è inevitabile l’emozione che si fa strada tra i ricordi di Cortina e se c’è Jerry Calà a cantare ‘Maracaibo’ o in sottofondo ‘I like Chopin’ di Gazebo tutto ha un altro sapore, che forse non tornerà mai: “Cortina è un luogo considerato un emblema un po’ da tutti. Per me è un pezzo di cuore perché ci sono cresciuto e mi ha dato la possibilità di fare un film come ‘Vacanze di Natale’ (1983)”. Saper riuscire a sdrammatizzare e accettare il proprio destino con leggerezza “è stato un dono che Dio ha dato all’Italia. Noi siamo leggeri - dice lo scrittore - sappiamo ridere anche dei nostri guai e questo aspetto ci ha reso migliori degli altri Paesi: il popolo italiano è straordinario perché ha questa capacità di non portare tutto in tragedia totale come fanno i popoli del Nord".

Enrico Vanzina tornerà al cinema: "Sicuramente il prossimo anno", perché "in questo momento c’è una abbuffata di proposte tra piattaforme, televisioni, serialità, che ha reso molto difficile la vita dei film nelle sale", spiega lo sceneggiatore, che potrebbe non scegliere la via della commedia. "Mi piacerebbe un giallo", da appassionato e scrittore del genere.

Oltre 120 film ma nessun rimpianto: “anzi solo uno, quello di non avere più accanto mio fratello Carlo”, dice Vanzina che, nonostante i dolori, non smette mai di inseguire la felicità: “è la cosa più importante che abbiamo. Tutti i momenti che perdiamo nell'infelicità sono veramente un qualcosa di autolesionista. Dobbiamo in tutti i modi cercare di essere felici", sottolinea citando una frase "da cui sono ossessionato" del poeta francese Jacques Prévert, "che dice 'bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro che per dare l’esempio'". E, soprattutto, “bisogna essere fieri di essere romani, ce lo stiamo dimenticando. Stiamo un po' perdendo le tradizioni, l'umorismo e quel modo, anche un po' fatalista, di affrontare la vita. Adesso siamo diventati un pochettino globali pure noi, questo non mi piace”, conclude. (di Lucrezia Leombruni)

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