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"Sei mesi a Dachau, così mio padre è sopravvissuto nell'inferno nazista", la storia di Ermando Parete

"La forza dei vent'anni, un'erba selvaggia e il senso di sfida di un abruzzese della Maiella", il racconto del figlio Donato sul finanziere che ha dato nome a un premio

Ermando Parete
Ermando Parete
30 novembre 2024 | 11.40
LETTURA: 6 minuti

Sopravvive ai forni crematori di Dachau, torna a casa con 29 kg di peso in un'anabasi dalla Baviera all'Abruzzo e batte il sistema di genocidio nazista che prevede per ogni prigioniero un destino di morte preciso: entro sei mesi. Il suo nome è Ermando Parete, professione finanziere. Come ha fatto? "La forza dei vent'anni, un'erba selvaggia, il 'cacinio' e il senso di sfida di un abitante della Maiella: "Vincere sull'inferno nazista e tornare a casa". Questo il racconto del figlio Donato Parete all'Adnkronos. Sopravvissuto a torture, esperimenti crudeli nel gelo e alla vista di 32mila corpi, Ermando non perde mai la speranza.

Odio? "Neanche nei confronti dei tedeschi", dice il figlio. Alcuni di loro, nel viaggio verso casa, gli offrono cibo e vestiti, mentre ci sono italiani che gli chiudono la porta in faccia. Al ritorno a casa, il dolore si trasforma in una missione: testimoniare per le generazioni future, affinché l'orrore non venga mai dimenticato: ora il suo nome è legato a un premio, quest'anno lo ha vinto Magda Bianco, dirigente di Bankitalia, per l'impegno a favore dell'educazione finanziaria. "Mio padre, grande lettore di quotidiani economici, diceva sempre agli studenti di essere critici e non lasciarsi incantare dalle folle: è da lì che sono venuti Hitler e Mussolini". Una storia di sofferenza, impegno e passione che ha una data di inizio: 29 aprile 1945, -6 mesi.

..Sei mesi, tempo massimo di sopravvivenza nell'orrore nazista: Parete batte il nazismo..

Dachau, 29 aprile 1945. La Settima Armata americana sfonda i cancelli del campo, libera gli internati e spalanca al mondo l’orrore dell’Olocausto. Tra i sopravvissuti c’è lui, vent’anni appena compiuti, finanziere arruolato con l’entusiasmo di chi ha ancora tutta la vita davanti. Sei mesi nel campo di concentramento: il tempo massimo di sopravvivenza previsto dal sistema nazista. Non un caso, ma una precisa logica di efficienza letale. I prigionieri sono carne a scadenza, corpi che marciscono al ritmo di una macchina progettata per schiacciarli, con fredda precisione, entro sei mesi. E lui, in quel vortice di fame, gelo e morte, ce la fa. Un giorno in più, solo uno. Poi gli americani. Ma prima il racconto dell'inferno: sei mesi prima.

Inferno Dachau: le immersioni nell'acqua gelata, 'quanto resiste un aviatore tedesco caduto nella Manica?'

Il benvenuto dei nazisti: appena arrivato, gli strappano i vestiti e l’identità, Ermando diventa 142-192. Un numero, una cavia, un oggetto. Le sue giornate cominciano prima dell’alba, al freddo, con 12 ore di lavoro forzato sui binari ferroviari. La fame feroce, il freddo insopportabile. Chi non regge, viene colpito o lasciato morire. “Dachau era morte, sempre. Non c’era un passo senza cadaveri. Ogni giorno vedevamo decine di uomini crollare.” Dachau è anche un laboratorio: e i giovani forti come Parete le cavie perfette. Ecco il bunker degli esperimenti: qui la scienza nazista si esercita a distruggere la vita e Ermando passa di qua. Gli aguzzini di Hitler lo spogliano e lo immergono in una vasca piena d’acqua ghiacciata: "Dovevano sperimentare quanto un aviatore tedesco caduto nella Manica potesse resistere al gelo", racconta il figlio. Molti non ne usciranno vivi. Parete sì. Quando non lo portano al bunker, ci sono le punizioni: quella del palo, una delle peggiori: legati per i polsi dietro la schiena e appesi fino a perdere i sensi. "Poi li costringevano a sputarsi l'uno con l'altro", racconta Donato nelle sue memorie. E ancora la fame, la malattia, la disperazione: chi è debole viene spedito in infermeria. “Lì si moriva. Nessuno tornava. Facevano esperimenti, amputazioni". Come ce l'ha fatta?

L'erba della Maiella.. e l'ostinazione dei vent'anni: "Volevamo solo vivere"

Un ragazzo, vent’anni, nella morsa dell’inverno bavarese. Ma anche lì, nell’abisso, trova un appiglio, racconta il figlio. La forza delle sue montagne, della Maiella. Dei ricordi di bambino ad Abbateggio, dove le mani sporche di terra riconoscono il “cacinio”, un’erba commestibile. Cresce anche lì, vicino ai binari tedeschi, e per lui era come un filo teso verso casa. “È questo che mi ha tenuto in piedi,” raccontava sempre Ermando. Un pugno di erbe, un’ostinazione feroce e la giovinezza. Perché, diceva, “i quarantenni si buttavano sul filo spinato elettrificato. Noi ventenni no. Noi volevamo vivere. Non capivamo l’orrore, volevamo solo uscirne".

Il ritorno a casa.. tra la lettera di Montini e il voto della mamma...

Il 29 aprile 1945, alle sei del pomeriggio, le truppe americane entrano nel campo. Ma per Parete e gli altri prigionieri la libertà è inizialmente una parola vuota: c'è chi non sa dove andare, molti muoiono perché non più abituatI a mangiare. In quei giorni di confusione ecco l'incontro con il cardinale Giovanni Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI. Montini è impegnato nell’assistenza ai perseguitati politici e scrive un telegramma alla famiglia di Ermando per informarla della sua sopravvivenza, battendo sul tempo persino la Croce Rossa. Quando finalmente torna a casa, viene accolto come un miracolato. Sua madre, che ha fatto voto di recarsi scalza in un santuario se avesse rivisto suo figlio vivo, mantiene la promessa.

Il grande silenzio..

Per anni Ermando, che nel frattempo rienta in Guardia di Finanza, non racconta nulla. Non è l’unico. Negli anni ‘50 e ‘60, dice il figlio, l’Italia non vuole ascoltare. Per decenni si porta dentro un peso, un’ombra. Poi il mondo inizia ad aprirsi: prima l'incontro con Papa Giovanni Paolo II poi nel 2004 la svolta: un comandante della Guardia di Finanza in Abruzzo, il generale Mario Marco Angeloni, lo convince a parlare. “Racconti quello che ha visto. I ragazzi devono sapere.” E lui inizia.

"State attenti all'entusiasmo.." la battaglia contro tutti i totalitarismo e il premio Parete...

“Il pericolo più grande è dimenticare.” Ermando parla nelle scuole, nelle università, ovunque ci siano giovani disposti ad ascoltare, racconta il figlio. “Attenti. La folla non si mobilita con le armi, ma con le parole. Hitler e Mussolini non sono arrivati con i fucili spianati. Sono arrivati con l’entusiasmo della gente. State attenti all’entusiasmo. Studiate, leggete. Capite.” Ermando, "un centrista convinto antifascista e anticomunista, contro tutti i totalitarismi", muore nel 2016, a 93 anni. Dal 2017, un premio a suo nome e una caserma della Guardia di Finanza ne mantengono viva la memoria.

Il premio di quest'anno va a Magda Bianco..

Parete - dice il generale di Corpo d'Armata della Guardia di Finanza- Fabrizio Carrarini "ha trovato il coraggio di raccontare l'orrore vissuto, come monito perché non riaccadesse. Il tutto unito a quella visione fiera di appartenente al Corpo della Guardia di Finanza, volta a incoraggiare le giovani generazioni a superare le difficoltà, anche le più terribili, con entusiasmo del vivere e voglia di fare". Il premio quest'anno è andato a Magda Bianco che succede a quello di altre importanti figure dell'economia come il presidente di Cassa Depositi e Prestiti Giovanni Gorno Tempini premiato nel 2023, Guido Barilla nel 2022, Alberto Bombassei (2021), Giorgio Armani (2020), Giovanni Tamburi (2019), l'ex ministro per l'Innovazione Vittorio Colao, premiato nel 2018. Perché la storia di Ermando Parete è un grido, una testimonianza, un monito. (di Andrea Persili)

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