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Marcello Colafigli, dalla Banda della Magliana al traffico droga: chi è

Il 70enne è stato arrestato oggi

Forze dell'ordine alla Magliana
Forze dell'ordine alla Magliana
04 giugno 2024 | 12.27
LETTURA: 2 minuti

Il Bufalo della Banda della Magliana, Marcello Colafigli, di nuovo in manette a quasi 71 anni. L'operazione antidroga della Dda scattata all'alba nelle province di Roma, Napoli, Foggia e Viterbo, ha riportato agli 'onori' della cronaca 'Marcellone', secondo gli investigatori a capo di un sodalizio criminale, con base logistica nella Capitale e operativo nell’area della Magliana e sul litorale laziale.

La sua faccia è nei libri che raccontano la Banda della Magliana, nei documentari, negli archivi delle forze dell'ordine che lo hanno rincorso per una vita, tra i vicoli del centro e le piazze della periferia a sud-est di Roma. In semilibertà, con alle spalle una zavorra di ergastoli, sequestri di persona, rapine e omicidi, era riuscito - secondo i carabinieri che hanno condotto l'ultima indagine - a pianificare compravendite di grossi quantitativi di droga dalla Spagna e dalla Colombia, mantenendo rapporti con esponenti della 'ndrangheta, della camorra, della mafia foggiana e con albanesi inseriti in un cartello narcos sudamericano.

Originario del reatino, si guadagnò una certa fama controllando negli anni Settanta la zona della Magliana e di San Paolo per lo smercio della droga e arrivando alla fine degli anni Ottanta a "importare" dalla Sicilia diversi carichi di eroina tramite il clan di Totò Riina. Uccise per vendetta Maurizio Proietti, non ebbe alcuno scrupolo a farsi scudo con un bambino nel conflitto a fuoco che ne seguì con la polizia. Di lui l'altro esponente della Banda della Magliana, Antonio Mancini, disse: "Una specie di orso. Un uomo dotato di una forza disumana. In tribunale da solo ha scosso la gabbia dove eravamo chiusi, con un pugno ha incrinato il vetro blindato. Ma se lo rimproveravo per qualcosa, si faceva rosso in viso come un bambino e la peggiore parolaccia che conosceva era perbacco".

L''orso che arrossiva' è accusato di essere tra i mandanti dell'agguato costato la vita a Enrico De Pedis, alla guida del gruppo dei testaccini in netto contrasto con quello dei maglianesi di cui faceva parte Colafigli. Sono passati 34 anni da quando 'Renatino' venne freddato in strada, tra i passanti, in sella a un motorino nei pressi di Campo de' Fiori. La condanna all'ergastolo, 'ammorbidita' da una riconosciuta infermità mentale con diagnosi che andavano dalla 'psicosi schizofrenica paranoide', alla 'personalità epilettoide', alla 'sindrome borderline', non gli impedisce di continuare la sua vita. Sempre a Roma, ancora una volta nell'entroterra lidense dove magari deve esser stato più volte con l'amico e socio Libero Mancone, di Acilia. Mentre da giugno 2020 i carabinieri del Nucleo Investigativo diretti dalla Dda indagano sul gruppo criminale sgominato oggi con 28 misure, tra cui quella emessa a suo carico, il "Bufalo" si fa beccare prima in un bar di Ostia in compagnia di altri personaggi noti. Oggi, di nuovo in semilibertà, viene riconosciuto come il capo di quella associazione che gestisce un traffico di stupefacenti da Spagna e Colombia. Ben oltre quelle che erano le sue colonne d'Ercole maglianesi. (di Silvia Mancinelli)

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