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Bioplastiche nell'organico? Promosse dagli impiantisti

L'analisi di Biorepack

Bioplastiche nell'organico? Promosse dagli impiantisti
12 ottobre 2022 | 13.33
LETTURA: 4 minuti

Il vero problema per la corretta gestione dei rifiuti organici? Le frazioni estranee composte da plastiche tradizionali, vetro, alluminio e altri materiali. Il motivo? Una raccolta differenziata inadeguata e scarsa informazione dell’opinione pubblica. L’etichettatura dei prodotti? Inadeguata, al momento, per aiutare i cittadini a capire quali materiali devono effettivamente essere conferiti insieme all’umido e avviati a compostaggio. Le bioplastiche compostabili? Perfettamente compatibili con il trattamento della frazione organica e nessun ostacolo all’attività di impianti di compostaggio e digestori anaerobici. Anzi, un aiuto tangibile per l’aumento di qualità e quantità del compost prodotto. Sono alcune delle risposte emerse da una serie di cinque inchieste video realizzate da Biorepack, consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile.

Le telecamere di Biorepack hanno realizzato nelle scorse settimane un vero e proprio 'Giro d’Italia' da Nord a Sud: dal Piemonte alla Puglia passando per il Veneto, l’Abruzzo e la Sardegna. Obiettivo: dar voce ai gestori degli impianti di compostaggio e di trattamento anaerobico che quotidianamente ricevono la raccolta differenziata dei rifiuti organici e devono trasformarli in compost. “Nonostante l’Italia sia da anni il top player indiscusso nel settore delle bioplastiche (da solo il nostro Paese rappresenta un terzo dell’intero comparto Ue), c’è ancora troppa disinformazione e impreparazione sul perché è importante effettuare una corretta raccolta differenziata dei rifiuti organici e perché insieme a loro vanno conferiti anche gli imballaggi in bioplastica compostabile, come sacchetti, stoviglie e cialde per le bevande certificate En13432. E questa scarsa informazione alimenta pericolose fake news”, spiega Marco Versari, presidente di Biorepack. “Con questo ciclo di videointerviste abbiamo voluto far parlare direttamente i gestori degli impianti. Sono loro infatti che si occupano del fine vita della Forsu (Frazione Organica Rifiuti Solidi Urbani) e delle bioplastiche e sono quindi i testimoni ideali per far luce sui vari nodi del processo di compostaggio”.

I cinque impianti visitati da Biorepack sono responsabili, tutti insieme, della gestione di oltre 800mila tonnellate di frazione organica ogni anno. Unanime è in particolare la denuncia sui problemi causati al loro lavoro dalle cosiddette frazioni estranee. “I materiali non compostabili (Mnc) raggiungono percentuali tra l’8 e il 12% dei rifiuti organici conferiti”, rivela Flaviano Fracaro, responsabile Filiera Forsu di Iren Ambiente, la multiutility che gestisce la raccolta rifiuti nelle province di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, La Spezia e Torino. “La maggior parte è costituita da plastiche tradizionali, nonostante la normativa che le vieti abbia ormai più di 10 anni. Ma anche da vetro e metalli”, spiega. “La vera sfida è riuscire a eliminare completamente queste impurità che danneggiano il processo di compostaggio e la qualità del prodotto finale”, aggiunge Fabrizio Pilo, amministratore unico di Verde Vita, che gestisce i rifiuti in 15 Comuni del nord-ovest della Sardegna.

Accanto al metodo di raccolta dei rifiuti organici, altrettanta enfasi viene posta dai gestori degli impianti sul tema della riconoscibilità dei diversi tipi di materiali ma anche sull’immissione in commercio, nonostante la direttiva europea Sup ne vieti l’uso da luglio 2021, di stoviglie realizzate in plastica non compostabile. “In vendita si trovano piatti in plastica tradizionale classificati come ‘riutilizzabili’”, denuncia Lella Miccolis, amministratore unico della pugliese Progeva. “Il problema per noi compostatori è che questi prodotti sono di difficile riconoscibilità per il cittadino. Non sapendoli distinguere, li getta nella raccolta dell’umido insieme alle stoviglie compostabili. La questione di avere un’etichettatura chiara e univoca è cruciale. Si deve capire benissimo, fin dal packaging e dall’ecodesign, quali sono i rifiuti compostabili da conferire nell’organico e quali invece devono essere gettati altrove”, aggiunge.

E le bioplastiche? “Il nostro problema è la plastica tradizionale - dice chiaramente Werner Zanardi, tecnico di Sesa Spa - La plastica non c’entra nulla con la bioplastica. Sono materiali diversi, con comportamenti diversi e che devono seguire flussi di recupero diversi”. “Per le loro caratteristiche, le bioplastiche compostabili si adattano perfettamente al nostro sistema produttivo e vengono trasformate in compost al pari della Forsu”, spiega Alberto Torelli, amministratore delegato di Aciam, che gestisce l’impianto di compostaggio più grande dell’Abruzzo.

“Si comportano come altri materiali di origine vegetale - conferma Mario Mongelli, direttore tecnico di Progeva - Le bioplastiche flessibili, come i sacchetti compostabili, sono equiparabili a una mela o a una buccia di arancia, per quanto riguarda i tempi di degradazione. Gli imballaggi rigidi, che comunque rappresentano più o meno l’1% della Forsu trattata, sono paragonabili a un pezzo di legno. Se alla fine di un primo processo di compostaggio non dovessero essere ancora del tutto degradate, vengono separate alla fine del ciclo per essere reimmesse in testa”.

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