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Parte la stagione dello sci, ecco il costo ambientale degli impianti

Un turismo dolce è la possibile alternativa da percorrere

Persone in seggiovia - - Canva
Persone in seggiovia - - Canva
28 novembre 2023 | 14.30
LETTURA: 4 minuti

L’inverno, la neve e gli scii potrebbero diventare un vago ricordo. La speranza è che ciò non accada mai, ma il cambiamento climatico in corso ha portato a delle sfide che vedranno proprio il settore del turismo invernale tra quelli che maggiormente potrebbero risentire di una crisi profonda, ambientale sicuramente, ma anche e soprattutto economica.

Per il momento, nonostante il rischio non sia così lontano, non ci sono dubbi che a Natale e Capodanno gli impianti sciistici possano essere sold out perché, anche se l’inflazione è alta e si sciolgono i ghiacciai, alle vacanze proprio non si è disposti a rinunciare. A salvarsi in questo contesto così complesso è il settore del turismo invernale che anche per questa stagione porta a casa degli ottimi risultati in termini di prenotazioni e di numero di lavoratori e manodopera impiegato. Ma varrà lo stesso per la prossima stagione? Scopriamolo insieme.

L’industria sciistica

All’aumentare del riscaldamento globale aumenta la mancanza di neve. Senza innevamento si prevede che il 53% e il 98% delle 2.234 stazioni sciistiche studiate in 28 paesi europei saranno ad altissimo rischio con un riscaldamento globale rispettivamente di 2 e 4 gradi. Queste le analisi e le stime del report ‘Climate change exacerbates snow-water-energy challenges for European ski tourism’ di Nature che, già quest’estate, si interrogava sui possibili scenari riguardanti l’uso della neve artificiale in mancanza di quella naturale.

Il problema che maggiormente colpisce l’industria sciistica, infatti, è l’elevato fabbisogno di energia elettrica e di acqua, proprio per i dispositivi di innevamento artificiale che spesso impattano negativamente anche sulle emissioni globali di gas serra. L’impatto altrettanto dannoso di tali impianti colpisce sugli ecosistemi e sulla biodiversità, dettando i periodi produttivi delle specie faunistiche e posticipando, ad esempio, le fioriture. In altre parole, si potrebbe pensare che gli impianti sciistici non siano del tutto “Green” e che spesso apportino delle conseguenze indicative di un cambio di rotta che siamo, invece, chiamati ad intraprendere, ma che passa in secondo piano quando si parla di migliaia di lavoratori impiegati ogni anno in tali attività lavorative.

Ancora una volta, il punto di equilibrio è ciò verso cui si intende procedere: una ricerca che tenga conto delle necessità economico-sociali, senza danneggiare l’ambiente. Una ricerca che, però, richiede scelte consapevoli e coraggiose da parte di tutte le amministrazioni.

Il sold out

L’agenzia Albergatore Pro ha svelato alcuni dati sulle prenotazioni per i prossimi mesi, stimando essere stato riservato il 39% delle camere disponibili, mentre per l’intera stagione si parla del 44,75%: +4,18% rispetto allo scorso anno. Il picco è previsto per il Ponte dell’Immacolata per cui le prenotazioni sono già oltre il 60% e per la seconda metà di dicembre, l’occupazione provvisoria è del 49,5% (+7% rispetto al 2022), e le tariffe medie giornaliere si attestano attorno ai 240 euro. Per gennaio le camere vendute corrispondono attualmente al 51,3% (con un aumento del 10,6% rispetto allo scorso anno), mentre, per febbraio si parla del 46,5% di prenotazioni (+3,9% rispetto al 2022).

Le località di Madonna di Campiglio, Bormio e Cortina pare guideranno la classifica, con la Riviera Romagnola al completo per Capodanno. I dati preannunciano un quasi sold out che riflette quello del primo trimetre del 2023 in cui hanno viaggiato in 12 milioni di italiani, superando i dati pre-pandemici.

Approccio sostenibile: è possibile?

Quando si pensa a località montane e sciistiche spesso si immaginano paesaggi destinati al solo uso e consumo dei turisti in determinati periodi dell’anno, ma alla sfida di equilibrare economia e ambiente c’è anche quella al rispetto della montagna. Secoli fa, infatti, si aveva a che fare con dei posti immersi in un’aurea di sacralità che tendevano ad innalzare l’uomo -letteralmente - verso posti lontani dalle città, nel rispetto di chi, quegli stessi posti, li viveva tutto l’anno. Come molte città d’Italia, però, che si sono trasformate diventando dei “non luoghi”, in cui trovare un residente, nato e cresciuto in queste città e che provenga da diverse generazioni di “local”, diventa un’impresa ardua. E lo stesso sta accadendo alle città ospitanti il turismo invernale.

Aperte alle folle, con lavoratori stagionali, rischiano di diventare lunapark per adulti in cui l’ambiente diviene solo un prodotto consumistico, l’ennesimo, di cui preoccuparsi solo se appagante e per il breve periodo - sempre meno considerato che molti scelgono vacanze brevi di 4-5 giorni - da consumare e gettar via.

Un turismo dolce

Una via sostenibile da prendere come esempio è quella che viene definita “Turismo dolce” e che vedrà, nei prossimi anni, il possibile cambio di rotta. Si tratta di un turismo che ha nel suo Dna un approccio morbido nei confronti dell’ambiente: rispetto, attenzione e cura per le zone a rischio. È la forma di turismo che prevede la sopravvivenza dell’economia del terziario in piccoli borghi e località montane al di sotto del 1600 metri, in cui è già sparita la neve, e che potrebbe sopravvivere grazie a percorsi e sentieri di camminata e trekking e attraverso la riscoperta delle attrazioni culturali e storiche di tali località. Una sfida che si può intraprendere solo se si deciderà di mettere in atto un ammodernamento e messa in sicurezza delle infrastrutture.

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