Stipendio, carico lavorativo e work-life balance non soddisfano le donne italiane nei ruoli apicali
Il numero delle manager in Italia aumenta ma resta ancora molto lontano da quello degli uomini: ogni 3 manager, 2 sono uomini, una è donna. Il rapporto peggiora nei ruoli di maggiore responsabilità dal momento che, come riportano gli ultimi dati di Manageritalia, su 5 dirigenti solo una è donna.
E di queste, quante sono felici? A questa domanda ha cercato di rispondere lo studio “Do satisfaction, gender issues, and financial inclusion impact Italian female managers?” realizzato dalle economiste Rosella Castellano (Università Unitelma Sapienza di Roma), Jessica Riccioni (Università di Roma Tre) e Azzurra Rinaldi (Università Unitelma Sapienza di Roma).
Il paper è stato pubblicato a luglio sulla rivista Review of managerial science del gruppo Springer Nature ed è l’unico che analizza a tutto tondo il mondo manageriale femminile in Italia. Lo studio si basa su un questionario a cui hanno partecipato 456 manager donne, per la maggior parte over 40 che lavorano al Nord e nel 75% dei casi hanno al massimo un figlio.
Lo studio analizza la soddisfazione professionale delle donne manager italiane in relazione alla vita prettamente lavorativa, a quella personale e al welfare per le famiglie. Dal questionario sono emersi tre grandi motivi di insoddisfazione:
- gli stipendi;
- il carico lavorativo;
- le difficoltà nel conciliare il lavoro con la vita privata
L’equilibrio tra vita lavorativa e personale, il famoso work-life balance, è un problema per 4 manager su 10 ed è e la prima causa di insoddisfazione nella fascia 40-50 anni. Su questi dati incide il welfare italiano, ritenuto insufficiente soprattutto a fronte dell’enorme pressione fiscale. Il sistema di welfare incide sulle scelte di vita delle manager: “La decisione di avere figli è legata alla presenza di servizi capillari e accessibili” spiega Azzurra Rinaldi al Corriere, tanto che “al nord, dove ci sono più servizi per bambini e anziani, il livello di soddisfazione è più elevato”.
Il welfare da solo non basta, serve anche una cultura del lavoro meno all’antica e più pragmatica: “C’è un sistema di valutazione interno alle aziende che spesso penalizza le figure apicali che si allontanano troppo spesso dall’ufficio, come nel caso della maternità”, aggiunge Rinaldi. Spesso le lavoratrici, soprattutto in posizioni apicali, si trovano a dover scegliere tra l’essere delle brave mamme o delle brave manager, senza considerare il tempo da dedicare a sé stesse. Se questa situazione da sola non giustifica il calo demografico, impone sicuramente delle riflessioni di tipo politico.
Per una manager su 3, uno dei principali motivi di insoddisfazione lavorativa è la mole di lavoro, eccessiva e stressante, soprattutto per le over 50. A differenza di altri Paesi, in Italia “Abbiamo ancora una cultura novecentesca, di presenza fisica. Soprattutto al centro-sud tendiamo a stare molto a lavoro anche se questo non ci rende più produttivi, anzi”, dice ancora Rinaldi.
Infine, tiene ancora banco la differenza di salario tra uomini e donne, il cosiddetto gender pay gap.
Il 17% delle manager ha dichiarato di ricevere uno stipendio insufficiente o comunque più basso di quello dei colleghi, mentre 4 su 10 hanno subito il gap almeno una volta. Il 65% delle intervistate ha riscontrato discriminazioni nelle carriere manageriali. Entrambe le tendenze sono più forti nelle piccole imprese, ma il problema non è solo italiano: “Nessun Paese ha superato il gender pay gap”, osserva Rinaldi. Insomma, a tutti i livelli, a parità di mansioni, qualifiche e tempo speso in azienda, le donne vengono pagate di meno.
In chiusura, lo studio lascia qualche speranza: i numeri testimoniano un miglioramento, seppur molto lento, ma a far ben sperare per il futuro è soprattutto la maggiore sensibilità delle aziende giovani per il gender gap e in generale per le tematiche Esg.