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Bruxelles, Draghi, Conte: scintille alla Camera per Meloni in vista del Consiglio Ue

"Non svenderò l'Italia", la promessa della presidente del Consiglio in Aula. Scivolone su Draghi, poi corregge il tiro e accusa il Pd. E sul Mes scatta l'affondo al leader M5S

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera - Fotogramma
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera - Fotogramma
13 dicembre 2023 | 00.37
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Ne ha per tutti, anche per il suo predecessore Mario Draghi, in barba a un passaggio di consegne che tutti ricordano all'insegna di sorrisi e consigli preziosi. La premier Giorgia Meloni è un fiume in piena nella replica alla Camera, dopo le comunicazioni sul Consiglio europeo in agenda domani e venerdì. Un appuntamento complicato quello di Bruxelles, perché all'orizzonte si prospetta una trattativa "serrata e difficilissima", ammette la stessa presidente del Consiglio, sul nuovo Patto di stabilità e crescita.

"Non svenderò l'Italia"

"Non svenderò l'Italia", assicura, vedendo spiragli e rivendicando il peso che ora l'Italia ha sul tavolo di gioco. Pungono le opposizioni, la dem Lia Quartapelle invita la premier a scegliere tra Zelensky e Orban, puntando il dito contro le contraddizioni del governo Meloni in politica estera. Affonda il M5S, con Riccardo Ricciardi che la invita a dire ciò che pensa veramente sulla guerra in Ucraina, tirando nuovamente fuori dal cilindro la telefonata del duo comico russo Vovan&Lexus.

Scivolone su Draghi, poi corregge il tiro

La misura è colma per Meloni. Invita le opposizioni alla calma, "non siate nervosi" ripete più volte, ma non la tocca piano. A farne le spese anche Mario Draghi. "Mi ha molto colpito - dice - che si sia fatto riferimento al grande gesto da statista del mio predecessore Mario Draghi e la foto in treno verso Kiev con Macron e Scholz. Per alcuni la politica estera è stata farsi foto con Francia e Germania quando non si portava a casa niente. L'Europa non è a tre ma a 27, bisogna parlare con tutti: io parlo con la Germania, la Francia e pure con l'Ungheria, questo è fare bene il mio mestiere". Touché: anche tra i banchi del governo c'è chi scambia sguardi sorpresi per l'affondo appena perpetrato.

Poco dopo, a margine di un dibattito rovente, Meloni aggiusta il tiro, spiegando con fermezza che il suo non era affatto un attacco all'ex numero uno della Bce, ma al Pd "che come al solito pensa che tutto il lavoro che il presidente del Consiglio Draghi ha fatto si riassuma nella fotografia con Francia e Germania. Non è la foto con Macron e Scholz che determina il lavoro di Draghi. Lui non c’entra niente, anzi - puntualizza - ho rispettato la sua fermezza di fronte alle difficoltà che aveva nella sua maggioranza. Il suo lavoro non si può risolvere in una fotografia accanto ai leader di Parigi e Berlino”.

Il suo, ribadisce con convinzione, "era un attacco al Pd, secondo il quale la politica estera è solo farsi le foto con Francia e Germania, quando invece questo Governo rivendica l’abilità di riuscire a dialogare con tutti in Europa e anche a livello internazionale. L’intenzione non era certo quella di attaccare Draghi e ancora di meno di attaccare l’impulso che Draghi è riuscito a dare nel sostegno europeo all’Ucraina". Per Meloni l'incidente si chiude qui. Con Draghi, perché con le opposizioni la polemica non si arresta, anzi: è destinata a farsi più rovente con l'avvicinarsi dell'appuntamento elettorale delle europee.

Mes, affondo su Conte

Nella replica, il colpo di fioretto più spietato è infatti per un altro predecessore, Giuseppe Conte. E arriva su uno dei temi più sensibili di queste settimane, la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità. "Chi ha dato il consenso alla ratifica" del Mes "che oggi impegna anche noi? Lo ha fatto il governo Conte, senza mandato parlamentare e lo ha fatto un giorno dopo essersi dimesso, quando era in carica solo per gli affari correnti, dando mandato a un ambasciatore con un mandato firmato dal ministro Di Maio, senza mandato parlamentare, senza averne potere, senza averlo detto agli italiani, con il favore delle tenebre". A se stessa e al suo governo Meloni riconosce trasparenza e coerenza: "Meglio essere isolati che svendere l'Italia".

Superbonus, 'macigno' contro il M5S

Un altro affondo per i grillini è sul superbonus, già descritto come un "macigno" nel corso delle sue comunicazioni in Aula. Nella replica quel macigno il premier lo scaglia dritto contro il M5S. "Più del 30% delle decine di miliardi di euro spesi per il superbonus - dice - sono finiti a banche e intermediari finanziari, che anche per questo hanno realizzato profitti record" e anche per questo "gli italiani hanno deciso di non votarvi nuovamente". "Per non parlare delle frodi clamorose: solo nelle ultime settimane ne sono state scoperte per quasi un miliardo, risorse tolte a sanità, trasporti, famiglie e tutto quello che poteva essere più utile - aggiunge -. Qualcuno prima o poi, più che dare consigli agli altri, dovrebbe fare i conti con la propria coscienza. Chissà se prima o poi si vorrà fare luce su questa questione".

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