L'86enne leader di Forza Italia ricoverato al San Raffaele
La leucemia mielomonocitica cronica (LMMC), la malattia che ha colpito Silvio Berlusconi, è la più frequente tra le sindromi mielodisplastico-mieloproliferative. Come spiega l'Associazione italiana contro le leucemie, la patologia diagnosticata all'86enne leader di Forza Italia, ricoverato in terapia intensiva all'ospedale San Raffaele di Milano, è caratterizzata dall'aumento di una specifica popolazione di globuli bianchi (monociti) e colpisce soprattutto soggetti in età avanzata.
La leucemia mielomonocitica cronica è una malattia eterogenea, può presentarsi in una forma displastica, in cui prevalgono anemia e neutropenia, oppure in una forma proliferativa, con un numero elevato di globuli bianchi. Vi è sempre un eccesso di monociti nel sangue e nel midollo, e un numero variabile di cellule immature (blasti).
Le sindromi mielodisplastico-mieloproliferative sono un gruppo di patologie a cavallo fra le neoplasie mieloproliferative croniche, in quanto presentano spesso una proliferazione eccessive delle cellule del sangue, e le sindromi mielodisplastiche, con cui condividono una maturazione anormale dei precursori del midollo.
L'AIL sottolinea che la prognosi, in maniera simile ma non uguale alle sindromi mielodisplastiche, viene stimata da diversi score: vanno valutati i valori dell’emocromo, il numero dei blasti, il valore dei globuli bianchi, la citogenetica e, più recentemente, la mutazione in alcuni geni specifici come l’ASXL1.
Per un paziente dell'età di Berlusconi, il trapianto è un'opzione? Secondo l'AIL, il trapianto allogenico di cellule staminali è l'unico trattamento con potenzialità curative, ma in molti casi – in considerazione dell’elevata età della maggioranza dei pazienti – è di difficile attuazione. Viene comunque raccomandato nei casi ad alto rischio.
Nei casi ad alto rischio non candidabili a trapianto può essere impiegata l'azacitidina e, nei casi proliferativi, l'idrossiurea per controllare la conta dei globuli bianchi. In caso di anemia, nei pazienti a basso rischio può essere utilizzata l’eritropoietina.