Secondo il World Economic Forum, la parità di genere si raggiungerà nel 2154: la prospettiva a lungo termine non stupisce. Oggi una piena uguaglianza tra uomini e donne appare ancora come un’utopia e, come segnala l’ultimo Global Gender Gap report pubblicato, serviranno 131 anni per annullare le distanze.
Un contributo, in questo percorso, potrà arrivare sicuramente anche dal Fisco e dal sistema di agevolazioni legate alla famiglia che possono fungere da freno o da spinta per l’occupazione femminile.
Senza dubbio, non c’è uno schema univoco da adottare, una ricetta buona per tutti e tutte, perché in campo ci sono una serie di variabili.
Dai ruoli di genere consolidati al sistema di welfare, i fattori che hanno un peso e sono tra loro intrecciati sono numerosi e diversi da contesto a contesto. Ma valutare i potenziali effetti relativi al Fisco e al welfare ha una sua rilevanza non trascurabile.
Nel Global Gender Gap report 2023 che vede in testa l’Islanda e prende in considerazione la partecipazione e l'opportunità economica, l'istruzione, la salute e il benessere e l'empowerment politico, l’Italia è al 79esimo posto con un netto peggioramento rispetto all’anno precedente.
In questa valutazione incide anche il nostro primato negativo in Europa relativo all’occupazione femminile, frutto degli ostacoli all’ingresso nel mondo del lavoro che persistono per le donne e che derivano anche dal Fisco.
Vale la pena, quindi, analizzare l’impatto della tassazione e delle agevolazioni sulla parità di genere, partendo proprio dal modello applicato: in Italia le imposte sul reddito delle persone fisiche vengono calcolate su base individuale.
Lo schema, sulla carta, è quello più neutro e al riparo da distorsioni, ma ci sono alcune misure che ne vanificano i vantaggi.
Un esempio su tutti è la detrazione per il coniuge a carico, lo sconto d’imposta a cui si ha diritto per il coniuge disoccupato o con entrate estremamente ridotte. Con interventi recenti sul tema, sia la Banca d’Italia che l’OCSE hanno sottolineato l’influenza negativa sull’occupazione femminile che questo e altri ingranaggi del meccanismo fiscale e di welfare possono determinare.
Paola Profeta, professoressa ordinaria di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi, nel suo libro Parità di genere e politiche pubbliche guardando in America, all’American Earned Income Tax Credit (EICT), e in Inghilterra al British Working Tax Credit, sottolinea il valore del riconoscimento di un credito d’imposta per le famiglie in cui lavorano entrambi i genitori che cresce con le dimensioni della famiglia.
E infatti, nel panorama di disincentivi italiani, una delle poche eccezioni positive è rappresentata dall’assegno unico che ha sostituito dal 2022 le detrazioni per figli e figlie a carico e altre misure di sostegno alla genitorialità.
Nel calcolo dell’importo viene riconosciuta una maggiorazione proprio per le famiglie in cui lavorano entrambi i genitori.
La Svezia, che si posiziona al quinto posto nella classifica globale, già dai primi anni 2000 ha abbandonato le deduzioni o le detrazioni fiscali per i figli a carico, lasciando solo gli assegni. E con politiche fiscali di incentivo ai benefit aziendali e sussidi per la genitorialità, nonostante le profonde differenze culturali, rappresenta anche per noi un caso da studiare.
L’Italia dal canto suo dimostra che nessun modello è esente da distorsioni e va calato nel contesto.
Un’alternativa all’impostazione individuale, infatti, è quella familiare. Senza andare troppo lontano nello spazio, ma stravolgendo del tutto le modalità di calcolo delle imposte si può guardare al quoziente familiare francese, periodicamente al centro di discussioni anche in Italia.
Semplificando al massimo, per calcolare la tassazione dovuta si sommano i redditi di tutti coloro che fanno parte del nucleo familiare e poi si dividono per un coefficiente calcolato sulla base del numero dei componenti. La Francia nel Global Gender Gap Index si posiziona al quarantesimo posto, dimostrando di essere nel complesso, dal punto di vista della parità di genere, molto più matura dell’Italia.
Ma in linea generale la tassazione familiare fa sorgere molti dubbi: le imposte sul reddito sono di solito progressive e, sommando le entrate, si rischia di applicare al secondo percettore di reddito un’aliquota più alta.
Più in particolare per il contesto italiano, senza una definizione chirurgica che metta al riparo da distorsioni e buone contromisure di welfare, la tassazione familiare potrebbe trasformarsi in un nuovo e ulteriore disincentivo all’occupazione femminile, scoraggiando il lavoro del secondo coniuge che entra nel mondo del mondo del lavoro e che di solito è donna.
Da un lato, quindi, il modello scelto è fondamentale, dall’altro sono i dettagli e il contesto a fare la differenza. E in Italia, dal Fisco al welfare, c’è ancora molta strada da fare: basteranno più di 130 anni?