La cedolare secca consente alle persone fisiche che affittano immobili ad uso abitativo di beneficiare di una tassazione agevolata sui canoni incassati.
Per la generalità dei casi, la cedolare secca si applica nella misura del 21% ma, a specifiche condizioni, è ridotta al 10% con vantaggi quindi evidenti sul fronte delle minori imposte dovute rispetto al regime ordinario IRPEF, per il quale l’aliquota più bassa è pari al 23%.
Se da una prima analisi potrebbe quindi sembrare sempre conveniente aderire alla cedolare secca sui canoni di locazione, è bene specificare che vantaggi e svantaggi sono da considerare caso per caso, sulla base della specifica situazione reddituale del contribuente.
Per capire quando conviene optare per il regime della cedolare secca è bene partire da un’analisi delle regole generali.
In primo luogo si ricorda che la cedolare secca prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva di IRPEF e addizionali sui redditi derivanti dai canoni di locazione di immobili con finalità abitativa e, in aggiunta, è prevista l’esenzione dal versamento di imposta di bollo e di registro dovute in caso di registrazione, risoluzione o proroga dei contratti d’affitto.
Due le aliquote previste:
● la cedolare secca si applica nella misura del 21% nella generalità dei casi;
● è prevista un’aliquota ridotta del 10% per i contratti a canone concordato, a patto che l’abitazione data in affitto si trovi in uno dei comuni con carenza di disponibilità abitative (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia, dei comuni con questi confinanti e altri comuni capoluogo di provincia) o nei comuni ad alta tensione abitativa.
La possibilità di applicare la cedolare secca del 10% è riconosciuta anche in caso di locazione a studenti, così come nei comuni colpiti da calamità naturali. In tutte le ipotesi previste è tuttavia vincolante la stipula di un contratto a canone concordato, stabilito quindi sulla base degli specifici parametri fissati dai singoli accordi territoriali, che determinano l’importo massimo della locazione che è possibile prevedere.
Da evidenziare inoltre le regole previste sugli affitti brevi, anche alla luce delle novità previste dal disegno di Legge di Bilancio 2024.
Ad oggi in caso di locazioni fino a 30 giorni si applica la cedolare secca con aliquota del 21 per cento. La possibilità di optare per il regime sostitutivo IRPEF è tuttavia prevista solo in caso di affitto per periodi brevi di un massimo di quattro appartamenti nel corso dell’anno, limite superato il quale scatta la presunzione di svolgimento dell’attività in forma imprenditoriale.
Sulle regole vigenti interviene il DdL di Bilancio 2024 approvato dal Governo e in fase di discussione in Senato che, a partire dal prossimo anno, aumenta l’aliquota per gli affitti brevi al 26%. Un rialzo che non si applicherà tuttavia in caso di locazione per periodi fino a 30 giorni della prima casa.
Da quanto sopra analizzato emerge che il primo vantaggio della cedolare secca consiste nel poter beneficiare di una tassazione con aliquota ridotta rispetto a quanto previsto dal regime ordinario IRPEF, per il quale l’aliquota più bassa è pari al 23%.
Chi opta per la cedolare secca non dovrà inoltre versare le imposte di bollo e di registro e nella percentuale dovuta sono inoltre comprese le addizionali regionali e comunali IRPEF.
Di contro, l’esercizio dell’opzione per la cedolare secca comporta il venir meno della possibilità di aggiornamento del canone d’affitto, anche qualora stabilito dal contratto. Il valore dovuto dall’inquilino resta quindi quello previsto in fase di stipula e non sono ammessi aumenti, anche in caso di rialzo dell’Indice ISTAT dei prezzi al consumo per operai e impiegati.
Non sempre accedere alla cedolare secca risulta conveniente e, al contrario, in specifiche fattispecie è bene restare nel regime ordinario di tassazione per aliquote e scaglioni IRPEF.
A livello generale, si ricorda che il reddito tassato con cedolare secca è escluso dal reddito complessivo e sullo stesso non possono quindi essere applicate detrazioni o deduzioni.
Le somme tassate con cedolare secca dovranno in ogni caso essere considerate nel reddito complessivo ai fini del riconoscimento di benefici e agevolazioni per le quali sono previsti specifici requisiti reddituali.
Da quanto sopra evidenziato, vediamo quindi i casi in cui risulta sconveniente applicare la cedolare secca.
In primis, sono i contribuenti con redditi particolarmente bassi a dover valutare con cura se accedere al regime sostitutivo o restare nel regime IRPEF. Nel secondo caso è infatti prevista la cosiddetta no tax area e, in pratica, fino alla soglia di 8.125 euro di reddito complessivo non sono dovute imposte.
Per chi quindi ritiene di non superare questo valore nel corso dell’anno, l’accesso alla cedolare secca si presenta particolarmente svantaggioso in quanto, a differenza dell’IRPEF, non sono previste soglie di esenzione e sarà comunque dovuto il 21% del reddito incassato.
Non conviene accedere alla cedolare secca anche nel caso di numerosi oneri detraibili o deducibili, per evitare il rischio di incapienza nell’IRPEF dovuta.
Risulta invece vantaggioso optare per il regime sostitutivo in caso di redditi elevati, per i quali l’aliquota IRPEF prevista supera quindi la prima soglia del 23%. In tal caso infatti si potrà beneficiare di una tassazione più bassa dei redditi da locazione, che non rientreranno nel computo del totale da sottoporre all’imposizione ordinaria e non comporteranno il rischio di applicazione di un’aliquota più elevata.
Quel che emerge chiaramente è che è quindi necessario analizzare caso per caso quando la cedolare secca risulta meno gravosa dell’IRPEF, considerando non solo l’aliquota di tassazione ma le ulteriori variabili rilevanti, quali ad esempio la presenza di spese detraibili o deducibili dall’IRPEF.