A Claviere, piccolo centro dell’alta Valsusa, ultimo comune italiano prima del confine francese, il termometro, nonostante la giornata di sole, quando scende la sera segna non più di 9 o 10 gradi. Le case e gli esercizi commerciali sono per lo più chiusi perché è bassa stagione e le strade, fino a qualche settimana fa attraversate da villeggianti, sono quasi deserte e chi cammina va di fretta, stretto nel primo piumino autunnale. E così, i migranti, seduti davanti alla chiesa che dista pochi metri dalla Casa del Comune, in attesa di incamminarsi verso la frontiera per la Francia cercano un po’ di riparo, qualcuno sui gradini di una casa, qualcun altro spezzando piccoli rami per tener vivo un debole fuoco, i più guardandosi attorno, uno accanto all’altro, con l’aria spaesata di chi non sa ne’ che fare, ne’ dove andare.
A spezzare lo scorrere uguale del tempo, l’arrivo di un furgone della Croce Rossa che porta loro acqua e biscotti: uno dopo l’altro si mettono in fila, poi, preso il pacco tornano da dove sono venuti. E il furgone, esaurito il compito in uno dei tanti trasferimenti quotidiani, va via in attesa di tornare per accompagnare chi è in attesa alla frontiera, che dista poco più di un paio di chilometri, oppure a Oulx, se ancora il centro di accoglienza ha posti disponibili, o più a valle, a Bussoleno.
Loro, i migranti, hanno poca voglia di parlare, non conoscono la lingua, qualcuno prova a esprimersi in inglese, ma fa fatica. Quello che si intuisce è che arrivano da viaggi lunghi e complicati, molti da Lampedusa, hanno lasciato i loro paesi di origine, il Sudan, la Guinea, e ora sono in attesa di un nuovo futuro, vogliono andare in Francia, qualcuno per raggiungere un parente, qualcuno, forse, per proseguire verso altre destinazioni. E fra tutti c’è chi chiede di poter chiamare il numero di emergenza e all’operatore che domanda se serve un medico o un’ambulanza risponde semplicemente ‘Oulx’, che significa accoglienza.