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Uday, il palestinese morto nel naufragio: "La vita è breve, amatevi"

I parenti aspettano la salma a Gaza. Il Viminale: "Veniamo incontro alle esigenze dei suoi genitori"

Uday Ahmed, morto nel naufragio di Cutro
Uday Ahmed, morto nel naufragio di Cutro
22 marzo 2023 | 16.21
LETTURA: 3 minuti

(di Elvira Terranova) -"Tanti familiari, tanti amici sono morti nella guerra in Palestina. Scappiamo dalla guerra, dalla povertà. La vita non si ferma per nessuno, anche se siamo addolorati per tutte le nostre perdite. La vita è breve, amatevi” (VIDEO). Mancano pochi giorni alla partenza per l'Italia, a bordo di un barcone, quando Uday Abdel Fattah Aref Ahmed, un ragazzo palestinese di 27 anni registra queste parole in un video. Si trova a Smirne, in Turchia, in attesa di prendere quel barcone che poi, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, si schianterà su una secca davanti alle coste di Steccato di Cutro (Crotone), provocando la morte di almeno 88 persone, tra cui una trentina di bambini e tante donne. Tra le vittime accertate ci sarà proprio lui, Uday, riconosciuto grazie a un documento, seppure tra mille difficoltà, per un errore nella trascrizione del nome. E da due connazionali superstiti, Ahmed di 31 anni e il nipote Mhamed di 19 anni che hanno viaggiato con lui sul 'Summer Love', partito dalla Turchia nella notte del 22 febbraio. Quel video oggi è il suo testamento 2.0.

Uday viaggiava da solo. Era partito dalla Palestina per tentare la fortuna in Europa. Non voleva più vivere a Gaza dove rischiava ogni giorno la vita, tra "guerra e povertà", come dirà lui stesso nel video mandato ai genitori prima di partire per l'Italia e che, guardato oggi, dopo la morte del giovane, sembra quasi una beffa. E fa venire i brividi. Nel video il ragazzo parla della guerra in Palestina dicendo che "nessuno muore dalla tristezza e dal dolore per la morte di un familiare" ma "viviamo con dolore e cerchiamo di andare avanti per cambiare la nostra vita e vivere felici in questa esistenza". I suoi familiari lo hanno cercato per settimane. Si sono rivolti anche all'Ambasciata palestinese. Hanno scritto al sito di informazione 'Crotone news', che dopo il naufragio di Steccato di Cutro, è diventato punto di riferimento per tanti familiari delle vittime e dei dispersi.

"Scrivono da ogni parte del mondo, per avere notizie dei propri cari. Si aiutano grazie a Google translate per riuscire a farsi capire", racconta all'Adnkronos il giornalista di 'Crotone news' Vincenzo Montalcini, diventato punto di riferimento, insieme con il collega Bruno Palermo, per tutti parenti disperati alla ricerca dei propri cari persi nel naufragio del 26 febbraio.

Un testamento 2.0 ai tempi dei social

Sono stati i cugini di Uday a mandare al sito il video registrato dal giovane poco prima di morire. “E’ come se sentisse l’imminenza della sua morte”, dicono i genitori tra le lacrime. Nel video Uday spiega il perché di quella scelta, di lasciare il suo paese, e di tentare la fortuna altrove, lontano dai suoi affetti. Una sorta di 'testamento' 2.0, ai tempi dei social.

La salma di Uday dovrebbe partire per la Palestina tra oggi e domani. "Stiamo morendo di dolore", dicono i genitori. Ma ci sono stati una serie di intoppi burocratici per il rimpatrio del giovane. Il Viminale si sta occupando del caso dall'inizio. "Stiamo cercando di andare incontro a tutte le loro esigenze, in ogni modo", dicono all'Adnkronos dal Ministero dell'Interno. Le spese di trasporto saranno coperte interamente dal Governo Italiano, come quelle delle altre 87 salme finora recuperate. "Abbiamo lavorato con il Comune di Crotone e con la Farnesina per verificare la corrispondenza tra il nominativo del giovane e il documento rinvenuto", spiegano ancora dal Viminale.

"Le lacrime non hanno lasciato i nostri cuori e i nostri occhi. Vogliamo seppellirlo a Gaza, nei territori palestinesi, ma non ha senso sentire il gemito del tormento dei nostri cuori", dicono il padre e la madre di Uday Abdel Fattah Aref Ahmed. In attesa di potere seppellire la salma del proprio figlio. Partito con tante speranze. E tornato a Gaza in una bara.

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